Non c’è pace senza Diplomazia
Il 1° luglio del 1780 nasceva a Burg, in Prussia, il generale, scrittore e teorico militare Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz o più semplicemente Carl von Clausewitz. Militare di elevate qualità, prese parte alle guerre napoleoniche traendone ammaestramenti che mise a frutto con la stesura di un trattato di strategia militare: il Della guerra che, in verità, rimase incompiuto a causa della sua morte prematura avvenuta a Breslavia il 16 novembre 1831 per una epidemia di colera nella quale perse la vita anche il filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel.
L’opera, iniziata nel 1818, composta da otto libri, fu pubblicata postuma dalla moglie tra il 1832 ed il 1837. Essa rappresenta “il fondamento principale della teoria strategica moderna” ed è tanto attuale da oltrepassare l’ambito militare arrivando a coinvolgere la politica, la scienza politica e altre fondamentali scienze umane.
Oggi, infatti, il pensiero di von Clausewitz viene veicolato nelle Accademie Militari e nelle Scuole di Guerra di moltissimi Paesi contribuendo alla formazione dei cadetti e degli ufficiali che già ricoprono incarichi di comando presso le varie Unità semplici e complesse.
Il trattato si rivela interessante perché in esso gli aspetti politico-filosofici della guerra sono strettamente correlati proprio con essa. L’illustre autore afferma che: «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi.›› La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico ovvero una sua continuazione con altri mezzi.
E’ evidente dunque che in una comunità la politica e le sue azioni che si concretizzano con gli atti governativi, sono gerarchicamente superiori alla stessa guerra che utilizzano come strumento per il raggiungimento dei propri fini. In altre parole, una guerra non è possibile se non esiste la decisione in tal senso di una comunità politica. Pertanto, afferma von Clausewitz, ‹‹la guerra non è mai un atto isolato, non scoppia mai in modo del tutto improvviso e la sua propagazione non è l’opera di un istante.››
Da quanto sopra esposto ne risulta una incontestabile verità: la guerra, come la pace, è una condizione subordinata a diversi fattori e, principalmente, alla politica. E’, dunque, la politica che ha il compito di ricercare incessantemente la soluzione alla guerra per assolvere ad un suo preciso dovere: il mantenimento della pace e della collaborazione tra i popoli, condizione quest’ultima essenziale per uno sviluppo economico e della quale ormai con la globalizzazione non si può più prescindere.
Ogni guerra che arriva a termine, dunque, è la conclusione di un processo politico voluto dalle parti interessate e conseguente agli sforzi che la diplomazia ha profuso nel raggiungimento del fine.
Quello che ci viene da aggiungere alle considerazioni di von Clausewitz sulla guerra è che bisogna anche ricercare le motivazioni che spingono i governi (e quindi la politica) a “continuare con altri mezzi il procedimento politico”.
Per fare questo dobbiamo affidarci ad un famoso detto noto in lingua francese ‹‹c’est l’argent qui fait la guerre›› che però non è francese in quanto pronunciato probabilmente da Tucidide o, come sostengono altri, da Cicerone. Secondo questa affermazione, dunque, la motivazione che determina l’atto politico della guerra è principalmente la sete di denaro alla quale vanno a sommarsi altre motivazioni secondarie.
Una volta si diceva che a scatenare le guerre fossero le donne o il denaro. Ebbene, escludendo la prima causa in quanto oggi non appare verosimile che possa scoppiare una guerra per una donna, come causa di belligeranza tra i popoli rimane il denaro.
Il denaro, dunque, come causa di esasperazione della politica che per ottenerlo arriva a continuare con altri mezzi l’atto diplomatico proprio della stessa politica.
Abbiamo finora parlato della guerra, definendola e motivandola, ma non abbiamo parlato di pace, perché dove c’è guerra, prima o poi dovrà tornare la pace e dove c’è pace, purtroppo, prima o poi arriverà la guerra perché questa è insita nella natura umana e, proprio per questo, non può essere evitata.
Accenneremo brevemente ad essa dicendo che ‹‹la pace è una condizione favorevole che la politica ha il compito di affermare per il bene dei popoli e substrato fondamentale su cui muoversi per perseguire uno sviluppo sociale, economico ed intellettuale, da sempre anch’essa, come la guerra, affidata alla politica perché è un atto politico››.
Potremmo dunque dire che proprio la pace, con il perseguirla e mantenerla, da sempre è uno dei compiti principali della politica che la delega ad una sua branca: la diplomazia.
La diplomazia si regge, quindi, su questi due pilastri contrapposti che come Scilla e Cariddi si fronteggiano tentando senza soluzione di continuità il sopravvento l’una sull’altra.
Ora, tra le tante guerre che infiammano il pianeta, da quasi tre anni se ne combatte una tra Ucraina e Russia con decine di migliaia di vittime destinate, purtroppo, a crescere ogni giorno. Non volendo schierarci, perché non è questo che al momento ci interessa, seppure non esimendoci dal condannare l’invasione di uno Stato sovrano, ci viene da porci una domanda: ‹‹perché questa guerra va avanti senza fare intravvedere spiragli di pace tra i due combattenti?››.
Proverò a rispondere non come solitamente sento fare in giro ma seguendo, da militare, gli insegnamenti del generale Carl von Clausewitz:
- Primo: Questa guerra va avanti perché non vi è interesse politico a farla cessare. Le motivazioni di questa “fermezza bellica” sono da ricercare essenzialmente proprio nel più banale dei motivi e nello stesso tempo il più importante: l’argent! Detto ciò non entro nel merito su chi ci guadagna di più o chi ci perde di meno; lascio a chi legge il compito di riflettere su questa affermazione ricordandogli proprio che c’est l’argent qui fait la guerre! e di questi tempi di affamati di argent ce sono davvero tanti!
- Secondo: Accertato quanto al punto precedente, non possiamo negare che la politica ha scelto, populisticamente, lo “status di belligeranza” motivandolo con una versione di parte e di comodo al fine di non rischiare l’impopolarità e la sollevazione dalle deleghe che proprio i popoli le hanno conferito. E qui, permettetemi una digressione: l’obiettivo è stato raggiunto con successo perché nonostante gli sfaceli che le politiche dei singoli Paesi hanno determinato negli ultimi decenni e nonostante tutti, ma proprio tutti, politici e non, si sia convenuti sulla determinazione che così non si poteva andare avanti, che era necessaria una nuova visione del mondo completamente da ‹‹rifondare›› con nuove figure al comando, ebbene, moltissimi Stati e governi, compresi quelli europei hanno riconfermato ai vertici delle istituzioni, dopo elezioni che avrebbero dovuto portare alla sostituzione dei personaggi che ne hanno determinato il decadimento, proprio quelle stesse figure e figuranti responsabili della deriva con la prospettiva non molto rosea di un ulteriore aggravamento della malattia che affligge il moribondo dato che il medico è sempre lo stesso e persevera nella stessa cura.
- Terzo: questa guerra nasconde un giro di affari davvero inimmaginabile che non viene narrato dai media impegnati nella diffusione della propaganda bellica in quanto completamente sotto l’influenza di poteri nazionali e sovranazionali. Si pensi a come tutti i generi e prodotti sono aumentati ‹‹a causa della guerra in Ucraina››. E’ aumentato il pane come i ricambi per l’auto; i vestiti come l’energia elettrica, il gas, i generi alimentari, i trasporti, i biglietti dei musei, l’acqua che si beve, l’ombrellone e la sedia per sdraiarsi in riva al mare nelle meritate vacanze dopo un anno di lavoro e anche l’aria che respiriamo… Tutto addebitabile ‹‹alla guerra in Ucraina››. Abbiamo di colpo scoperto che l’Ucraina, un Paese fino a tre anni fa povero al punto tale da fare emigrare in massa i propri abitanti verso le nazioni occidentali pronti a fare i lavori più umili pur di sbarcare il lunario, cosa che non riuscivano a fare in patria, è, di contro, una nazione che con la produzione di cereali sfama mezzo mondo; con il suo gas naturale, carbone e pozzi di petrolio fa muovere macchine e attrezzature; i suoi boschi forniscono legname per arredare e tenere calde le case di ricchi e di poveri; dalle sue cave si estraggono minerali preziosi e rari indispensabili alla costruzione di pezzi per computer, sofisticati cellulari e centraline di strutture adibite a delicate funzioni oltre a tant’altro che non mi soffermo ad elencare. Ma davvero esiste al mondo una nazione così ricca di risorse naturali e indotte da mandare in crisi, se solo lo volesse, un intero pianeta? Ma allora, se così stanno le cose, perché i suoi abitanti sono scappati verso l’occidente in cerca di un lavoro spessissimo umile e mal pagato?
A questo punto non voglio ancora infierire e rispondo alla domanda iniziale riaffermando le mie convinzioni:
Questa guerra non finisce perché a nessuno conviene e nessuno se ne occupa in modo serio, soprattutto quella Diplomazia, branca della politica, cui è stata devoluta come precipuo compito. Non se ne occupa l’ONU perché non ha mai organizzato seriamente una “conferenza di pace”; Non se ne occupano gli Stati Uniti che come “poliziotti del mondo” avrebbero dovuto lasciare da parte i loro interessi economici e geopolitici e dedicare più tempo, più uomini e più volontà per conciliare le parti anziché alimentarne una con armi e soldi; non se ne occupa la Cina che proprio con questa guerra vede rafforzarsi la sua posizione politico-economica mondiale; non se ne occupano i Paesi Arabi per lo stesso motivo; non se ne occupa l’Europa perché va a ruota dell’America e non vuole “dispiacere” gli alleati che come maggiore sovvenzionatori di quella NATO sotto il cui ombrello ci si rifugia non gradirebbero una posizione “diversa”; non se ne occupano i singoli governi perché la torta della ricostruzione viene sfornata solo dal forno delle grandi potenze e se vogliono ottenere una piccola fetta devono stare accucciati fino a quando non verranno chiamati dai padroni del mondo a beneficiare delle briciole cadute dal tavolo… Insomma, questa guerra è una strana guerra dove ognuno prima di intervenire si chiede: cosa ci guadagno?
In conclusione, però, un dubbio mi assale: non sarà che questa guerra, al di la delle motivazioni esposte e che a me sembrano valide, non finisce perché proprio la Diplomazia non sa fare diplomazia? Non sarà che oggi, nella “mediocrità al comando del mondo” non si riesce a trovare uno, che fosse “uno”, dei grandi diplomatici del passato come ad esempio, per fare qualche nome, il giurista e filosofo olandese Ugo Grozio (Huig de Groot), autore del trattato Il diritto della guerra e della pace nel quale suggeriva tre metodi per risolvere pacificamente una controversia: conferenze e negoziati; compromessi favoriti da reciproche rinunce e concessioni; estrazione a sorte; o come lo stesso Niccolò Machiavelli, Aleksandr Griboedov, Aleksandr Gorchakov e per citarne qualcuno dei più recenti Delano Roosevelt, Andrej Gromyko, Henry Kissinger, Eduard Shevardnadze ed altri che hanno saputo fare la storia? Se così fosse davvero siamo entrati nella selva oscura dantesca e, come suggeriva il divin poeta, conviene lasciare ogni speranza affidandoci, per i credenti, al buon Dio che tutto conosce e tutto può… anche fare finire una strana guerra regalandoci magari una classe politica meno stupida, mediocre e fin troppo attaccata alle poltrone e al vile denaro.
Una risposta.
Ti ringrazio del “grande regalo” che hai fatto a noi del 101° . Ho molte risposte alle tue domande, resta che in effetti è una guerra strana! A presto.