Il Tricolore.
Relazione tenuta a Vibo Valentia il 7 dicembre 2019 in occasione della manifestazione organizzata dall’ANCRI (Associazione Nazionale Cavalieri al Merito della Repubblica Italiana) Sezione provinciale di Vibo Valentia. Replicata a Trebisacce (Cosenza) in occasione della manifestazione organizzata dal Comune in collaborazione con ANCRI Sezione provinciale di Cosenza e Scuole dello stesso Comune.
Saluti:
Autorità civili, militari e religiose;
Insigniti al Merito della Repubblica Italiana ed al Presidente della Sezione ANCRI di Vibo Valentia;
Tutti, a qualsiasi titolo intervenuti.
Un pensiero doveroso e rispettoso lo rivolgo alla nostra Bandiera, alla nostra Nazione nella sua unità ed a chi degnamente la rappresenta: il Presidente della Repubblica.
Trattazione:
In un mondo sempre più globalizzato,
in un mondo dove mentre respiri qui, a Vibo, contemporaneamente, per la più grande inimmaginabilità dei nostri antenati che attraversavano l’oceano con i vaporetti, ti ascoltano a New York…
in un mondo dove unirsi è diventato una necessità più che una scelta e ritrovarsi sotto una Bandiera, per noi quella europea, è garanzia di stabilità economica e non solo…
in un mondo così variopinto dove le policromie della pelle, a ragione, non appartengono alla geografia colonizzatrice…
in un mondo dove la realtà quasi corre più velocemente della fantasia…
è giusto chiedersi se la Bandiera, quella nazionale, ha conservato quell’importanza, quell’idea di appartenenza che fino a qualche anno fa caratterizzava i popoli e determinava i confini delle nazioni.
Ognuno, a seconda della propria visione delle cose, può rispondere come meglio gli aggrada, perché la risposta, per quello che mi riguarda, va ricercata singolarmente, in ognuno di noi, perché in ognuno di noi è radicato, in quantità diversa, il senso di appartenenza.
Il senso di appartenenza, appunto, che altro non è se non quel sentire, per certi aspetti inspiegabile, che non ci permette di rinnegare o, quantomeno, parificare un sentimento rendendolo generalizzato.
Ecco, allora, che si può appartenere agli amici più che ai conoscenti, alla propria famiglia più che agli amici e, perdonatemi se ciò può apparire strano, ma vi assicuro che per un militare non lo è, appartenere alla Patria più che alla famiglia.
D’altronde, se così non fosse, non potremmo spiegarci il sacrificio dei martiri per l’unità d’Italia, dei giovani del ’99 della Prima Guerra Mondiale e, in tempi più recenti, quello dei morti nelle missioni di pace in Iraq, in Afghanistan ed in altri settantadue Paesi dove siamo presenti per garantire che la Bandiera, stavolta quella della Libertà, bene supremo dell’uomo, non abbia ad essere calpestata dagli interessi personali di dittatori o da fanatici integralisti che nessun valore danno alla vita in nome di una divinità che non può certo volere la sopraffazione della dignità e dei valori umani.
La Patria, dunque!
Quella Patria scritta con la “P” maiuscola, non con la minuscola come spesso capita di vedere in alcuni libri pubblicati da asettici storici.
E, da militare, al di là di ogni polemica, permettetemi di dire che scrivere Patria con la “P” minuscola equivale a dare della donna generica alla propria madre.
Chi penserebbe di fare questo?
Chi accetterebbe di avere per madre solo genericamente “una donna” perché, tanto… una donna vale l’altra?
Eppure, carissimi connazionali, o meglio, com-patrioti, questo modo d’intendere la Patria è molto diffuso.
Fortunatamente, però, se oggi ci ritroviamo qui, così per noi non è!
Per noi il concetto di Patria, evidentemente, deve essere diverso da questa concezione qualunquista che non porta da nessuna parte.
Ed allora, se così stanno le cose, non possiamo non convenire che il sostantivo Patria e quello di Bandiera provengono da un parto gemellare uniovulare;
un parto che ha portato ad identificare la Bandiera nella Patria e la Patria nella Bandiera fino ad arrivare all’interscambiabilità, alla fusione di queste due parole che generano all’interno di chi scrive Patria e Bandiera con lettera maiuscola un sentimento da sempre inspiegabile, quel sentimento che prende il nome di Amore, in questo caso: amore per la Patria o “amor patrio” e quindi amore per la Bandiera.
Perché ho voluto fare questa premessa!?
Perché ricordando la Bandiera ricordiamo e onoriamo la Patria!
La nostra Patria!
L’Italia!
La nostra Italia!
Quell’Italia, come accennavo prima, realizzata ed unita con il sangue di eroi oggi, ahimè, dimenticati!
Quella nostra Italia realizzata con il sangue del primo martire del Risorgimento italiano, quel Michele Morelli nato a Vibo Valentia nel 1790, allora Monteleone, che fu vittima della ferocia repressiva degli ideali di libertà culminata con il fallimento dei moti rivoluzionari napoletani del 1820-22;
Quella nostra Italia voluta e realizzata con il sangue versato nelle tre guerre per l’indipendenza e nella spedizione dei Mille di Garibaldi nel 1860;
Quell’Italia per la cui unità, nel 1871, Porta Pia si aprì ai giovani patrioti accorsi da ogni dove per combattere lo strapotere dello Stato Pontificio;
Quell’Italia costruita tra le trincee maleodoranti della prima guerra mondiale, difese fino alla morte sotto i colpi dell’artiglieria asburgica, nella nebbia dei fumi venefici dei gas asfissianti lanciati dagli austo-ungarici o nelle battaglie corpo a corpo dove le baionette entravano nelle carni di giovani appena diciottenni che non si erano tirati indietro chiedendosi “perché?” quando vennero chiamati al sacrificio;
Quell’Italia che ebbe il coraggio di affrancarsi dalla truce alleanza con la Germania di Hitler pur conoscendo il prezzo che avrebbe dovuto pagare in termini di vite umane.
Ed infine, quell’Italia per la cui grandezza, tanti emigranti, partiti con la valigia di cartone legata con lo spago, non esitarono a morire nelle miniere del Belgio (vedasi la tragedia di Marcinelle) o in Svizzera (vedasi la tragedia di Mattmark).
Come italiano generico dovrei fermarmi qui, ma… un militare non può dimenticare di citare tutte le giovani vittime cadute in questi ultimi anni nelle missioni di pace all’estero, partiti per difendere i deboli e la Pace e tornati nella loro amata Patria avvolti nel suo simbolo, nella Bandiera che si erano portata dietro in terre sconosciute e lontane.
A loro, a tutti loro, da Michele Morelli all’ultimo italiano caduto per l’onore dell’Italia, della Patria e per la difesa della Bandiera, prima di procedere, va il mio commosso e deferente pensiero.
Eccola, allora, la nostra Bandiera garrire sui pennoni per raccontarci la sua storia, sofferta ma gloriosa!
Ascoltiamola, dunque, anche se raccontare duecentoventidue anni di vita vissuta non è cosa da poco e non può bastare una manciata di minuti.
Sono le ore 11,00 del 7 gennaio 1797.
La Sala Patriottica del Palazzo Comunale di Reggio Emilia è affollata per la XIV Sessione del Congresso Cispadano. Sono presenti 100 deputati delle popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e, appunto, Reggio Emilia.
Giuseppe Compagnoni di Lugo Romagna presenta una mozione che prevede ‹‹si renda Universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale – si precisa – debba portarsi da tutti››.
Ecco, la storia della Bandiera italiana inizia ufficialmente qui, a Reggio Emilia, il 7 gennaio 1797, con la sua prima adozione come Bandiera nazionale da parte di uno Stato italiano sovrano, la Repubblica Cispadana.
L’evento, come detto, accadde in un salone del Palazzo Comunale di Reggio Emilia poi chiamato Sala del Tricolore sulla scorta degli eventi susseguenti alla rivoluzione francese che propugnò, tra i suoi ideali, l’autodeterminazione dei popoli.
Ma la comparsa dei colori nazionali, il verde, il bianco ed il rosso, era già avvenuta qualche tempo prima, esattamente il 21 agosto 1789, quando testimoni oculari videro a Genova alcuni manifestanti aventi appuntata sui vestiti una coccarda verde, bianca e rossa (vedremo più avanti perché).
L’11 ottobre 1796, il tricolore diviene Stendardo Militare della Legione Lombarda poi, il 18 ottobre. Vessillo Civico della Congregazione dei Magistrati e Deputati aggiunti di Bologna e infine, come accennato, il 7 gennaio 1797, Vessillo Nazionale della Repubblica Cispadana.
Successivamente alla data ufficiale di nascita, il 7 gennaio 1797, la considerazione popolare per la Bandiera italiana crebbe costantemente, sino a farla diventare uno dei simboli più importanti del Risorgimento che culminò il 17 marzo 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia di cui il tricolore divenne Vessillo Nazionale, fino ad arrivare ai giorni nostri inorgogliendo e nobilitando due secoli di storia ricchi di avvenimenti certamente importanti.
Con un po’ di pazienza, ripercorriamo il glorioso cammino senza dimenticare che anche la Bandiera italiana, come altri vessilli nazionali, si ispira a quella francese, introdotta dalla rivoluzione sulle navi da guerra transalpine nell’autunno del 1790 quale simbolo del rinnovamento perpetrato dal giacobinismo delle origini.
In breve… questi i fatti:
Il 12 luglio 1789, due giorni prima della presa della Bastiglia, il giornalista rivoluzionario Camille Desmoulins mentre arringava la folla parigina alla rivolta, chiese ai manifestanti quale colore adottare come simbolo della rivoluzione francese, proponendo il verde speranza oppure il blu della rivoluzione americana simbolo di libertà e democrazia.
I manifestanti risposero: il verde!
Desmoulins colse quindi una foglia verde da terra e se l’appuntò al cappello come segno distintivo dei rivoluzionari.
Ma il verde, nella primigenia coccarda francese, fu abbandonato dopo un solo giorno in favore del blu e del rosso perché era anche il colore del fratello del re, il reazionario conte d’Artois che, dopo la Restaurazione, diventò monarca con il nome di Carlo X.
La coccarda francese tricolore si completò poi con l’aggiunta del bianco, il colore dei Borbone, in seguito a eventi successivi.
Poco dopo i fatti rivoluzionari francesi, anche in Italia – sulla scorta della propugnazione della “dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789 – iniziarono a diffondersi estesamente gli ideali di innovazione sociale e, successivamente, anche politica, con i primi fermenti patriottici indirizzati all’autodeterminazione nazionale.
Per tale motivo la Bandiera francese blu, bianca e rossa diventò prima riferimento dei giacobini italiani e in seguito fonte di ispirazione per la creazione di un vessillo identitario italiano.
C’è da dire che, al contrario che in Francia dove i repubblicani prima ed i bonapartisti dopo erano in antagonismo con i monarchici ed i cattolici, la successiva adozione da parte dei patrioti italiani del tricolore verde, bianco e rosso fu priva di contrapposizioni politiche.
La coccarda italiana tricolore.
Le prime sporadiche dimostrazioni favorevoli agli ideali della rivoluzione francese, da parte della popolazione italiana, avvennero nell’agosto del 1789 con la comparsa, soprattutto nello Stato Pontificio di coccarde di fortuna costituite da semplici foglie verdi di alberi, che vennero appuntate sui vestiti dei manifestanti richiamando le già citate analoghe proteste avvenute in Francia agli albori della rivoluzione poco tempo prima dell’adozione del tricolore blu, bianco e rosso.
In seguito la popolazione italiana iniziò a usare coccarde vere e proprie realizzate in stoffa: al verde delle foglie degli alberi già impiegato in precedenza, vennero aggiunti il bianco e il rosso in modo da richiamare in modo più marcato gli ideali rivoluzionari rappresentati dal tricolore francese.
A questo contribuirono i giornali italiani dell’epoca che avevano creato confusione sui fatti francesi, in particolar modo sulla sostituzione del verde con il blu, riportando la notizia che il tricolore francese fosse verde, bianco e rosso.
In aggiunta, qui da noi, non era ancora avvenuta una presa di coscienza nazionale vera e propria, tant’è che per un breve periodo molti manifestanti italiani continuarono erroneamente a credere che la coccarda verde, bianca e rossa rappresentasse il tricolore francese: il loro obiettivo era infatti solo quello di manifestare l’adesione agli ideali della rivoluzione d’oltralpe, e qui ecco il richiamo ai fatti di Genova del 21 agosto 1789 citati in precedenza.
I colori nazionali italiani debuttarono quindi su una coccarda.
Il verde venne poi mantenuto dai giacobini italiani perché rappresentava la natura e quindi, metaforicamente, anche i diritti naturali ovvero l’uguaglianza e la libertà.
Alcuni storici sostengono che nonostante le varie ipotesi sull’origine della Bandiera italiana e sul significato dei suoi colori, nei fatti non si hanno prove certe e inequivocabili della sua esistenza prima dell’ingresso dei francesi in Milano, avvenuto il 14 maggio 1796.
E’ da notare che in Francia fu proprio grazie alla Rivoluzione, che la Bandiera iniziò ad avere un significato nazionale lasciandosi alle spalle quello dinastico e militare avuto fino ad allora.
Questo concetto venne poi trasmesso agli italiani.
Ciò spiega sia l’iniziale indifferenza all’adozione della nuova Bandiera, che ha lasciato poche tracce certe della sua origine, sia il fatto che inizialmente, invece che adottare una propria Bandiera, molte città avessero innalzato il tricolore francese.
E’ alla Bandiera francese che i documenti, almeno fino all’ottobre 1796, fanno riferimento quando usano il termine “tricolore”.
Infatti, l’11 ottobre 1796 Napoleone comunicava al Direttorio la nascita della Legione Lombarda un’unità militare costituita dall’Amministrazione Generale della Lombardia, governo che faceva capo alla Repubblica Transpadana ed alla quale veniva attribuita una Bandiera.
La Legione Lombarda fu quindi il primo reparto militare italiano ad avere come stendardo un vessillo tricolore.
Secondo le fonti più autorevoli la scelta perpetrata dai membri della Legione Lombarda di sostituire il blu della Bandiera francese con il verde è anche legata al colore delle divise della milizia cittadina milanese, i cui componenti, fin dal 1782, indossavano un’uniforme di questa tonalità, ovvero un abito verde con mostrine rosse e bianche.
Il bianco e il rosso erano anche i colori dell’antichissimo stemma comunale di Milano ed erano altresì comuni sulle divise militari lombarde dell’epoca.
Non fu quindi un caso che il tricolore verde, bianco e rosso sia stato scelto come insegna dalla Legione Lombarda.
Il debutto del tricolore, a cui è legata la prima approvazione ufficiale della Bandiera italiana da parte delle autorità, fu quindi come insegna militare della Legione Lombarda e non ancora come Bandiera nazionale di uno Stato italiano sovrano.
Il 6 novembre 1796 la prima coorte della Legione Lombarda ricevette il proprio vessillo tricolore nel corso di una solenne cerimonia alle ore cinque pomeridiane in Piazza del Duomo a Milano.
La Bandiera si presentava divisa in tre fasce verticali e riportava inoltre la scritta “Legione Lombarda” e il numero di coorte, mentre al centro era presente una corona di quercia che racchiudeva un berretto frigio e una squadra massonica con pendolo.
Qualcuno si chiederà perché di questi simboli massonici. La risposta sta nel fatto che Napoleone, come anche suo cognato Gioacchino Murat re di Napoli e altri membri della sua famiglia, era massone. Anzi, fu proprio Napoleone a portare in Italia la Massoneria francese legata al Rito Scozzese Antico ed Accettato che poi, nel 1805, diede origine al Grande Oriente d’Italia.
Come risulta dal “Prospetto della formazione della Legione Lombarda”, ogni coorte era dotata di un suo stendardo tricolorato nazionale lombardo, distinto per numero ed ornato dagli emblemi della Libertà.
Con il susseguirsi delle vittorie militari di Napoleone e la conseguente nascita delle repubbliche favorevoli agli ideali rivoluzionari, in molte città italiane si assunsero, sugli stendardi militari, il rosso, il bianco e il verde quali simbolo di innovazione sociale e politica.
Dal 16 al 18 ottobre 1796, a Modena, si tenne un congresso a cui parteciparono i delegati di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio nell’Emilia, che decretò la nascita della Repubblica Cispadana, con l’avvocato Antonio Aldini in qualità di presidente.
Il Congresso deliberò anche la costituzione di una Legione Italiana, poi rinominata Legione Cispadana che avrebbe dovuto partecipare insieme alla Francia a una guerra contro gli austriaci.
Il vessillo militare di questa unità, che era costituita da cinque coorti da seicento soldati ciascuna, era composto da un tricolore rosso, bianco e verde, probabilmente ispirato dall’analoga decisione della Legione Lombarda.
Gli eventi successivi all’adozione del vessillo.
Bandiera della Repubblica Cispadana
Per la prima volta, dunque, il tricolore diventò ufficialmente Bandiera nazionale di uno Stato italiano sovrano, sganciandosi dal significato militare e civico locale: con questa adozione la Bandiera italiana assunse pertanto un’importante valenza politica.
Nella III sessione del Congresso cispadano del 21 gennaio, che si tenne questa volta a Modena, dove nel frattempo erano stati spostati i lavori dell’assemblea, la decisione venne resa esecutiva:
Confermando le delibere di precedenti adunanze, il Congresso decretò ‹‹Vessillo di Stato›› il tricolore ‹‹per virtù d’uomini e di tempi – fatto simbolo dell’unità indissolubile della Nazione». |
(Verbale della riunione del 21 gennaio 1797 del congresso della Repubblica Cispadana) |
La Bandiera italiana fu esposta per la prima volta in pubblico a Modena il 12 febbraio 1797.
Per celebrare l’avvenimento venne organizzato un corteo per le vie della città, che passò alla storia con il nome di “passeggiata patriottica”, con esponenti della guardia civica e dell’esercito che le tributavano solennemente onore.
Da questa data il tricolore italiano si diffuse anche al di fuori dei confini emiliani, soprattutto in Lombardia, e iniziò a essere adoperato sempre più spesso come vessillo militare dai soldati napoleonici che combattevano in Italia.
A Bergamo fu decretato l’obbligo, da parte dei civili, di portare una coccarda tricolore appuntata sui vestiti, coercizione che venne sancita, il 13 maggio 1797, anche a Modena e Reggio nell’Emilia.
Ma, anche senza bisogno di obblighi da parte delle Autorità, la coccarda si diffuse sempre di più tra la popolazione, che la portava con fierezza, gettando le basi, insieme ad altri fattori, al Risorgimento italiano.
In seguito, il tricolore verde, bianco e rosso venne adottato dalle città di Venezia, Brescia, Padova, Bergamo, Vicenza e Verona con queste ultime che si erano ribellate proprio al governo della Repubblica Veneziana.
C’è da ricordare che originariamente i colori della Bandiera della Repubblica Cisalpina erano disposti orizzontalmente, con il verde collocato in alto, ma l’11 maggio 1798, il Gran Consiglio del neonato Stato scelse come vessillo nazionale un tricolore italiano con i colori disposti verticalmente.
Il cambiamento radicale della disposizione dei colori fu probabilmente proposto dal vicepresidente della Repubblica Francesco Melzi d’Eril.
Con questo mutamento del vessillo nazionale, Melzi d’Eril probabilmente voleva comunicare, anche da un punto di vista simbolico, la fine di una fase della storia d’Italia.
Con la trasformazione della Repubblica Cisalpina in Repubblica Italiana (1802-1805), ente statale che non comprendeva tutta la penisola italiana e che era anch’esso direttamente dipendente dalla Francia napoleonica, la disposizione dei colori sulla Bandiera mutò in una composizione formata da un quadrato verde inserito in un rombo bianco, a sua volta incluso in un riquadro rosso: da questa Bandiera ha tratto ispirazione lo stendardo presidenziale italiano in uso dal 14 ottobre 2000 voluto dall’allora Presidente Carlo Azelio Ciampi (ex Ufficiale del Servizio Automobilistico dell’Esercito).
In merito ancora alla trasformazione della Repubblica Italiana in Regno d’Italia (1805-1814), anch’esso Ente statale non comprendente l’intera penisola italiana, la Bandiera non subì modifiche sostanziali.
Ma la spinta rivoluzionaria napoleonica ebbe nel frattempo un’evoluzione, assumendo tinte più reazionarie, infatti venne abolito, ad esempio, il calendario rivoluzionario francese, che fu sostituito dal ripristino dell’antico calendario gregoriano, e molti miti della rivoluzione francese, come la presa della Bastiglia, furono messi in secondo piano.
Questo vento di cambiamento si ripercosse anche sull’uso delle bandiere e delle coccarde: il tricolore italiano fu sempre più sostituito da quello francese, con il blu della Bandiera d’oltralpe che prese il posto del verde del vessillo italiano.
Il cambiamento fu anche formale: le fasce dei sindaci ora erano costituite dal tricolore francese e non più da quello italiano.
Nonostante queste limitazioni il tricolore verde, bianco e rosso continuò a entrare sempre di più nell’immaginario collettivo degli italiani diventando, a tutti gli effetti, un simbolo inequivocabile di italianità ed in poco meno di vent’anni, la Bandiera italiana, da semplice vessillo derivato da quello francese, aveva acquisito una sua peculiarità, divenendo assai celebre e conosciuta.
Continuando con il nostro excursus storico non possiamo non ricordare che con la caduta di Napoleone e la Restaurazione dei regimi monarchici assolutistici, il tricolore italiano entrò in clandestinità, diventando simbolo dei fermenti patriottici che iniziarono a percorrere l’Italia, la cui stagione è conosciuta come Risorgimento.
Si pensi che nel Regno Lombardo-Veneto, Stato dipendente dall’Impero austriaco e nato dopo la caduta di Napoleone, per chi esponeva il tricolore italiano era prevista la pena di morte.
L’obiettivo degli austriaci era infatti, citando le testuali parole dell’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria, di ‹‹fare dimenticare agli italiani di essere italiani››.
L’11 marzo 1821, durante i moti piemontesi, il tricolore italiano sventolò per la prima volta nella storia risorgimentale alla cittadella di Alessandria dopo l’oblio causato dalla Restaurazione.
All’episodio Giosuè Carducci dedicò l’ode “Piemonte”.
Non tutte le fonti sono però concordi.
Alcune di esse documentano il fatto che la Bandiera che garriva ad Alessandria fosse in realtà costituita da altri colori: il vessillo del Regno di Sardegna oppure il tricolore nero, rosso e blu della carboneria.
La Bandiera verde, bianca e rossa riapparve nel corso dei moti del 1830-1831, soprattutto grazie a Ciro Menotti, il patriota che, dopo le sfortunate vicende napoletane con Michele Morelli, diede inizio alla ribellione in Italia.
Menotti, in particolare, sosteneva che la migliore forma di Stato per l’Italia unita fosse la monarchia con un Sovrano scelto da un congresso nazionale.
Punti fermi di questa idea erano Roma capitale d’Italia e la Bandiera tricolore come vessillo nazionale.
Particolare nota merita la data del 5 febbraio 1831 perché vide protagonista una donna patriota: Teresa Cattani.
Teresa, durante i moti di Forlì, si avvolse nel tricolore e partecipò all’assalto del palazzo sede della Legazione di Romagna sfidando gli spari dei soldati pontifici.
Nel 1831 il tricolore venne scelto da Giuseppe Mazzini come emblema della Giovine Italia con queste parole:
«I colori della Giovine Italia sono: il bianco, il rosso e il verde. La Bandiera della Giovine Italia porta su quei colori, scritte da un lato le parole: Libertà, Uguaglianza, Indipendenza».
A partire dal 1833-1834, proprio grazie all’opera di Mazzini, il simbolismo del tricolore si diffuse sempre di più lungo la penisola a iniziare dall’Italia settentrionale e centrale.
Nel 1834 venne adottato dai rivoltosi che tentarono di invadere la Savoia, mentre un vessillo tricolore della Giovane Italia fu portato nel 1835 in America meridionale da Giuseppe Garibaldi durante il suo esilio.
La Bandiera italiana si diffuse anche tra gli esiliati politici, diventando il simbolo della lotta per l’indipendenza e della pretesa di avere costituzioni più liberali.
Il tricolore italiano fu sventolato anche durante le insurrezioni del 1837 in Sicilia, del 1841 in Abruzzo e del 1843 in Romagna.
Nel 1844 un tricolore della Giovine Italia accompagnò i fratelli Bandiera nel fallito tentativo di sollevare le popolazioni del Regno delle Due Sicilie.
I patrioti al seguito dei due fratelli indossavano una divisa costituita da una camicia blu e verde, dei pantaloni bianchi, dei paramani rossi, un colletto rosso e verde, una cintura di cuoio rosso e un berretto con appuntata una coccarda italiana tricolore.
Tricolori italiani sventolarono, sfidando le Autorità, che ne avevano decretato il divieto, anche in occasione della commemorazione della rivolta del quartiere genovese di Portoria contro gli occupanti asburgici durante la guerra di successione austriaca.
Nel corso di tale manifestazione, che avvenne il 10 dicembre 1847 a Genova sul piazzale del santuario della Nostra Signora di Loreto debuttò, eseguito dalla Filarmonica Sestrese, Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro, inno nazionale italiano dal 1946.
Il Canto degli Italiani, in una strofa, cita la Bandiera italiana:
«Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
di fonderci insieme,
già l’ora suonò»
Questo passaggio, che si legge nella seconda strofa, richiama alla speranza che l’Italia, ancora divisa negli stati preunitari, si fonda finalmente in un’unica nazione raccogliendosi sotto una sola Bandiera: il tricolore.
Strano a dirsi, l’unica città dove l’attaccamento alla Bandiera non era sentito da tutta la popolazione era Roma: nella capitale era infatti presente un buon numero di cittadini ancora fedele al papato.
A Roma il clero era ostile al neonato stato italiano in modo molto marcato, tanto da rifiutarsi di benedire il tricolore e da impedire alle bandiere italiane di entrare nelle chiese anche in occasione di funerali o di cerimonie pubbliche.
La Bandiera italiana era tollerata solo a seguito dei cortei funebri.
Nel 1882, l’anno di morte di Garibaldi, per la prima volta, il tricolore sventolò in un possedimento italiano in Africa a seguito della fondazione della prima colonia, la baia di Assab, che diventò il primigenio avamposto della futura Eritrea italiana.
Non tutti erano favorevoli all’avventura coloniale ed il deputato socialista Andrea Costa dichiarò che il tricolore non doveva garrire in una terra lontana, ma solo in Italia.
In merito la querelle si protrasse a lungo e diversi furono i pareri di illustri personaggi della nostra storia.
Nel 1897 la Bandiera italiana compì cent’anni.
La celebrazione fu molto sentita dalla popolazione, tant’è che l’Italia venne invasa da tricolori.
La manifestazione più importante avvenne a Reggio nell’Emilia, dove il 7 gennaio di cento anni prima era nato il tricolore.
Nel giorno della celebrazione nella città emiliana Giosuè Carducci definì la Bandiera “benedetta” e la baciò alla fine del discorso che vi invito a leggere e riflettere sulle sensazioni che sa suscitare.
Di questi anni è l’inizio dell’emigrazione italiana, soprattutto verso il continente americano: il tricolore, spesso portato nelle valigie dei migranti, iniziò a sventolare al di fuori dei confini nazionali, soprattutto nelle Little Italy che stavano formandosi nel mondo.
Molte altre volte il sentimento di italianità e il legame con i suoi simboli – tricolore compreso – nacque o si rinforzò solo dopo che i migranti ebbero lasciato l’Italia.
Questo legame con la terra d’origine non si sbiadiva con il passare delle generazioni: molto spesso era ancora vivo alla terza o quarta generazione.
In merito voglio citare una curiosità:
Nel 1861, il presidente Abraham Lincoln passò in rassegna alcuni reparti militari che stavano partecipando alla guerra di secessione americana: tra essi c’era una Garibaldi Guard, formata da immigrati italiani, che aveva come vessillo militare la Bandiera tricolore della Giovine Italia.
A cavallo tra il XIX e il XX secolo il patriottismo iniziò gradualmente a trasformarsi in nazionalismo; dal fervore patriottico ottocentesco che propugnava il voto popolare e la libertà, si passò a un acceso nazionalismo che avrebbe poi portato, qualche decennio dopo, alla nascita di movimenti politici come il fascismo di Benito Mussolini.
E proprio Benito Mussolini all’inizio della sua carriera politica nelle file del socialismo rivoluzionario, aveva una forte avversione nei confronti del tricolore, tanto che, secondo alcuni storici, lo definì, in occasione della guerra italo-turca del 1911, che portò poi all’occupazione del Dodecaneso e all’annessione come colonia della Libia, ‹‹uno straccio da piantare su un mucchio di letame››.
Uno degli episodi più famosi che coinvolsero la Bandiera italiana nella prima guerra mondiale fu il volo su Vienna, un volantinaggio aereo che Gabriele D’Annunzio fece sui cieli della capitale asburgica: il 9 agosto 1918 il Vate lanciò su Vienna dei volantini tricolori con cui esortava il nemico ad arrendersi e a porre fine alla guerra.
Le truppe italiane entrarono poi a Trieste nel novembre del 1918 in seguito alla vittoria nella battaglia di Vittorio Veneto, che concluse il conflitto con la ritirata e la sconfitta definitiva degli austriaci.
Per orgoglio di appartenenza, aggiungo che i primi militari a sbarcare a Trieste furono quelli della Brigata calabrese “Catanzaro” con il suo 141° e 142° reggimento.
Il bollettino di guerra n°1267 del 3 novembre 1918 del generale Armando Diaz, che preannunciò di un giorno il Bollettino della Vittoria, recitava:
«…Le nostre truppe hanno occupato Trento e sono sbarcate a Trieste. Il tricolore sventola sul castello del Buonconsiglio e sulla torre di San Giusto».
Con la marcia su Roma e l’instaurarsi della dittatura fascista la Bandiera italiana perse la sua unicità simbolica venendo in parte oscurata dall’iconografia di regime.
Quando veniva utilizzata, come all’interno del simbolo del Partito Nazionale Fascista, ne era snaturata la storia, dato che il tricolore nacque come simbolo di libertà e di diritti civili, mentre nelle cerimonie ufficiali iniziò a essere accostata ai vessilli neri fascisti, perdendo il ruolo di protagonista assoluta.
Nonostante questo ruolo da comprimario, a riscatto delle affermazioni fatte in precedenza da Mussolini, con regio decreto n° 2072 del 24 settembre 1923 e successivamente con la legge n°2264 del 24 dicembre 1925, il tricolore diventò ufficialmente Bandiera nazionale del Regno d’Italia.
Il 31 gennaio 1923 fu istituito dal Ministero della pubblica istruzione il saluto alla Bandiera da parte degli studenti delle scuole italiane. Ogni sabato mattina, al termine delle lezioni, gli studenti dovevano omaggiare la Bandiera con il saluto romano e con l’esecuzione di brani musicali patriottici.
La Repubblica Italiana
Con la nascita della Repubblica Italiana, grazie al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n°1 del 19 giugno 1946, la Bandiera italiana venne cambiata; rispetto al vessillo monarchico fu eliminato lo stemma sabaudo che all’articolo 8 recita:
«Fino a quando non venga diversamente deliberato dall’Assemblea Costituente, la Bandiera nazionale è formata da un drappo rettangolare, distinto verticalmente in tre sezioni uguali rispettivamente dei colori verde, bianco e rosso. Il drappo deve essere alto due terzi della sua lunghezza, e i tre colori vanno distribuiti anzidetto, in guisa che il verde sia aderente all’inferitura.»
Durante i lavori della commissione per la Costituzione, incaricata a redigere il testo della Carta fondamentale, si discusse sull’inserimento di uno stemma sulla banda bianca in sostituzione del blasone dei Savoia, proposta che poi non ebbe seguito.
A tal proposito Meuccio Ruini, anch’egli massone come molti deputati della Costituente, presidente di questa commissione, dichiarò che:
«…La commissione si pronuncia intanto pel tricolore puro e schietto, semplice e nudo, quale fu alle origini e lo evocò e lo baciò, cinquant’anni fa il Carducci e così deve essere la Bandiera italiana…»
Questa decisione fu in seguito confermata nella seduta del 24 marzo del 1947 dall’Assemblea Costituente, che decretò l’inserimento dell’articolo 12 della Costituzione della Repubblica Italiana, successivamente ratificato dal Parlamento, che recita:
«La Bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.»
L’articolo venne approvato dall’Assemblea Costituente senza discussioni o polemiche di sorta.
I membri dell’Assemblea Costituente vennero colti da profonda emozione quando approvarono questo articolo: in segno di giubilo e di rispetto, poco dopo l’approvazione, si alzarono in piedi e applaudirono lungamente.
Il tricolore repubblicano venne poi consegnato ufficialmente e solennemente alle Forze Armate e corpi militari italiani il 4 novembre 1947 in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate.
Poco prima dell’ufficializzazione della Bandiera nella costituzione, il 7 gennaio 1947, il tricolore compì 150 anni.
Il ruolo da cerimoniere che cinquant’anni prima fu di Giosuè Carducci venne svolto da Luigi Salvatorelli, il cui discorso, proferito durante i festeggiamenti ufficiali di Reggio Emilia alla presenza di Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato, alluse alla fase delicata che stava attraversando l’Italia postbellica con particolare riferimento alle umiliazioni subite dal Paese nella seconda guerra mondiale.
Il 27 maggio 1949 fu approvata una legge che descriveva e regolava la modalità di esposizione del tricolore fuori dagli edifici pubblici e durante le feste nazionali.
Dalla Bandiera italiana, come è già stato detto, è poi derivato lo stendardo presidenziale italiano, la cui ultima versione richiama il vessillo della Repubblica Italiana del 1802-1805, con l’aggiunta di una bordatura di colore blu Savoia.
Nell’Italia repubblicana il tricolore salutò avvenimenti importanti della storia italiana.
Un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri datato 3 giugno 1986 descrive in maniera più completa l’utilizzo del tricolore da parte dello Stato e di tutti gli altri Enti pubblici italiani.
Il 31 dicembre 1996, l’articolo 1 della legge che ha istituito la Festa del Tricolore recita:
«…Il giorno 7 gennaio, anniversario del primo tricolore d’Italia, è dichiarato giornata nazionale della Bandiera…»
Bene, la mia relazione storica sulla Bandiera finisce qui; e finisce con chiedere scusa se non sono riuscito ad interessarvi o se sono stato troppo prolisso.
Spero solo che comprenderete il motivo di questo mio trattare approfondito che a volte ha sfiorato la pignoleria.
A mia discolpa posso solo dire che sono un militare e pertanto sono uno di quei servitori dello Stato e della Patria che per quarant’anni consecutivi, con la pioggia, con la neve o con il sole, ogni mattina ha visto alzarsi lentamente sul pennone un simbolo: la nostra Bandiera!
Quella Bandiera della quale ho parlato oggi!
Quella Bandiera, quel simbolo che ogni mattina, accompagnato dall’inno di Mameli, sapeva destare in me sensazioni irripetibili!
Sapeva ogni mattina infondere coraggio e forza, amore e nobili sentimenti, tutti custoditi in quei tre colori: il verde, il bianco e il rosso!
Quella Bandiera, quel simbolo che ogni mattina mi faceva emozionare facendomi venire un groppo alla gola e gli occhi lucidi!…
E voglio confidarvi un mio segreto: sapete cosa mi manca di più da quando ho lasciato il servizio attivo?
La nostra Bandiera che garrisce al vento chiamando all’unità gli italiani!
E allora, senza presunzione, con un immeritato accostamento, la mia esortazione è la stessa di D’Annunzio:
‹‹L’Italia avanti tutto! L’Italia sopra tutto!››
«Alzate la Bandiera: sventolate il tricolore›› e, aggiungo io, ‹‹siate e siamo orgogliosi della nostra Italia e della nostra italianità rappresentata dal Tricolore, perché il Tricolore è la nostra storia, la nostra speranza negli esseri umani, il nostro passato ed in nostro futuro».
Viva il Tricolore, viva la Repubblica, viva l’Italia.
Bibliografia: Wikipedia.org; Siti vari internet; Testi di storia sul XVII-XVII secolo e sul Risorgimento, guerre coloniali, prima e seconda guerra mondiale, storia contemporanea. Altri.